lunedì, agosto 07, 2006

In viaggio da Damasco verso Beirut

La strada che da Damasco porta verso Homs, si srotola diritta in mezzo al deserto. Il colore ocra riempie gli occhi, la luce riflessa abbaglia la vista. Attraversano questo fiume di asfalto una quantità di camion di piccole dimensioni, poco più grandi di un Ducato, vivacemente colorati con fantasie geometriche. E autobus, tanti autobus. Molti viaggiano con lo sportello del vano motore aperto, a far prendere aria ai pistoni, ad evitare che il fumo si trasformi in fiamma. Si incontrano spesso infatti auto e pullman lungo il ciglio della strada fermi, la schiena del conducente piegata a scrutare il radiatore e tutto il resto, nel tentativo di far ripartire il mezzo. Su qualche furgone campeggia la bandiera di Hezbollah, qualche autobus ha un'immagine di Nasrallah appiccicata sul vetro posteriore. Persino il nostro tassista ha un adesivo con il suo ritratto applicato sul parabrezza, nell'angolo superiore sinistro. D'altra parte a Damasco si vendono persino le magliette del combattente, e dovunque ti giri trovi una sua immagine.Lungo tutto il percorso gli alberi sono piegati, la perseveranza del vento ha ragione dei tronchi e persino i rami sono rivolti tutti da un lato solo, lasciando l'altro nudo e scarno. Il nostro tassista, Yasser, schiaccia sul pedale. Arrivare a Beirut da qui non è una passeggiata, e considerando le condizioni che troverà in Libano ci vogliono cinque ore. L'aria che entra dai finestrini è torrida, ma chiudere i vetri rischierebbe di essere ancora peggio. Ma a tutto ci si abitua e cos? persino il velluto di questi ampi sedili diventa accogliente. Si viaggia su una vecchia Chevrolet degli anni cinquanta, quando i disegnatori non si ponevano problemi di spazio: il portabagagli e il cofano sono immensi e dietro si starebbe comodi anche in quattro.Prendendo per Tartus, si arriva al posto di confine di Aabboudiye. Yasser firma un paio di carte per l'auto, poi è la volta del controllo passaporti. Gli ufficiali, sotto delle grandi pale che muovono l'aria di questo caotico ufficio, inseriscono i dati su terminali Ibm che non hanno ancora conosciuto la rivoluzione dell'interfaccia grafica. Qualche bicchiere di the sulle scrivanie tradisce l'apparente severità delle domande. Qualche minuto ed è tutto pronto. Si pu? proseguire. L'auto percorre qualche centinaia di metri, appena sufficienti alla compilazione del nuovo modulo e un altro sportello, un altro ufficiale. Con una certa pancia, rilassato, si muove e ci muove ad un secondo vetro per il rilascio del visto. Soldi, timbro.Si apre il Libano sotto le ruote della Chevrolet. Qui il paesaggio è da subito molto diverso. Siamo sulla costa, qui domina il verde. L'asfalto è tenuto male, le buche sono continue, poi la statale cede il posto ad una autostrada a tre corsie. Fino a Tripoli si procede senza problemi. In questa città le facciate dei palazzi sono per lo più grige e consumate, qualche nuovo palazzo sottolinea l'aspetto cadente di tutti gli altri, piuttosto che migliorare l'immagine dell'insieme. Due ragazzi, in pantaloncini e scarpe da ginnastica, fanno jogging: il rischio delle bombe non ferma la normalità della vita quotidiana.Iniziano le deviazioni: a Batroun si passa sulla provinciale che costeggia il mare, i crateri delle bombe hanno interrotto la strada. Qualche chilometro e si pu? risalire. Ad Amicht, all'altezza di Biblo, non è chiaro se la strada è percorribile. Rapido consulto dal finestrino con un automobilista fermo con lo stesso dubbio, e si esce per il mare. Non è chiaro dove la strada riprenda, Yasser fa un paio di volte per rientrare. Poi, per andare sul sicuro, percorre ancora qualche chilometro fuori. Ogni tanto si scruta con apprensione il cielo, a verificare che non sia attraversato dai caccia. Ma oggi la situazione è tranquilla, lo hanno confermato anche alla frontiera.Di nuovo dentro. Ad El Safra, poco più avanti, la strada è tagliata da blocchi di plastica bianchi e rossi che lasciano poco spazio a fraintendimenti. In questo punto della provinciale, per?, è più difficile riconoscere la strada corretta, e anche Yasser deve chiedere consiglio un paio di volte ai pedoni. Le case costruite sulla costa ospitano costose automobili e qualcuno passeggia sul ciglio della strada in ciabatte, di ritorno dal mare. Le auto che viaggiano in direzione sud, verso Beirut, si fanno sempre più rade. La quarta deviazione, l'ultima, è necessaria a Jounieh. Riconoscibile da lontano dall'insegna del casin? di Beirut. Il casin? si trova qualche centinaio di metri più in basso dell'area bombardata. Il ponte dell'autostrada appare ancora in piedi, ma il cratere non consente di procedere. Si rientra poco più avanti, sulla tangenziale della capitale. Tre corsie per senso di marcia, molto traffico in entrambe le direzioni, si affacciano sulla strada grandi palazzi, fino a scorgere il porto. Yasser fa notare il palazzo abbattuto un paio di giorni fa da un'incursione aerea. Nell'edificio accanto è aperta una farmacia. Il sole è rosso sul mare, i moli guardano verso ovest. I lampioni sono già accesi, ci fermiamo di fronte all'università americana. Yasser passerà la notte qui, in ufficio. In attesa di una nuova chiamata, per portare qualcuno a Damasco.

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