lunedì, agosto 07, 2006

Gli sforzi della Mezzaluna rossa


Deep Purple, Diane Schuur insieme alla Dizzie Gillespie all star big band, la compagnia di balletto Eifman del teatro di San Pietroburgo: erano alcune delle date previste dal festival internazionale di Baalbeck, la città della valle della Bekaa a ridosso del confine siriano dove gli israeliani hanno compiuto un'incursione sbarcando soldati con gli elicotteri. Forse Marwa e Hiba erano troppo piccole per andarci, ma sicuramente ora neanche i fratelli maggiori potranno assistere a questi spettacoli. Marwan e Hiba sono di Balbeek, frequentano rispettivamente la seconda e la terza media. Non hanno perso quel modo di fare da tredicenni, neanche qui nel liceo che la Mezzaluna rossa ha predisposto per accogliere i profughi. Occhi luminosi e svegli, fanno una certa confusione e tentano il flirt con Hani. Lui ha ventidue anni, è un volontario, studia lettere. Da dieci giorni, spiega nel suo italiano un po' traballante, non torna a casa. Quando stacca qui va si reca al lavoro, all'ambasciata italiana. Via i banchi, ora le aule sono piene di materassi di gommapiuma. Lenzuola con i disegni dei cartoni animati: sono tanti i bambini qui; qualche angolo raccoglie vestiti e quel poco che scappando le famiglie sono riuscite a portarsi dietro. Due signore vestite di nero, tante rughe, velo con una fantasia di piante, raccontano che "i fuochi erano davanti e dietro di noi". Ci hanno messo ventiquattro ore a coprire gli ottanta chilometri che separano Baabek da Damasco. "Ci date voi i soldi?", rispondono lapidarie a chi chiede loro se hanno intenzione di tornare e ricostruire la casa. Interviene anche Aziz, sulla sessantina, robusto. Mentre tiene tra le grosse dita una sigaretta spenta, racconta che la moglie era ricoverata in un ospedale nella zona cristiana di Beirut quando è iniziato tutto, e ora se ne stanno prendendo cura i familiari. Lui era in Siria e non è più rientrato. Tra gli sfollati anche due donne incinte. Youssef, magrolino, coi baffi, sulla cinquantina, presenta sua moglie. Lei, giovane, dall'aspetto rilassato, si tocca il pancione. Il parto è previsto entro qualche giorno, sono già stati due volte all'ospedale: Falso allarme. "I'm rich", ci tiene a specificare Youssef, mortificato dal fatto di avere un aspetto da profugo ora. Baalbek è una zona ricca. I profughi sono raggruppati nelle strutture di Damasco secondo le provenienza e la parentela. In tutta Damasco sono più di quarantamila, spiega Khaled Erksoussi, vicepresidente della sezione cittadina della Mezzaluna rossa. Tra il 50 e il 60 per cento sono bambini. La Mezzaluna rossa ha predisposto tre punti di accoglienza lungo il confine: uno al valico di Masnaa (quello che collega la valle della Bekaa con la Siria), uno nel nord est del Libano, poco sopra Qaa, e l'altro ad Aabboudiye, nel nord. A Masnaa, aggiunge, i volontari si sono spinti oltre il confine siriano: C'è una porzione di terra tra il checkpoint siriano e quello libanese che non appartiene ad alcuno stato. "Ma solo nella prima metà", spiecifica Erksoussi: "Non vogliamo trascinare in guerra anche la Siria". Proprio per evitare incidenti diplomatici, il governo ha deciso di delegare tutte le operazioni di soccorso alla Mezzaluna rossa, che è l'unico interlocutore diretto anche per le Nazioni unite. "Sono molto lente", dice Erksoussi: per ora hanno inviato delle squadre con il compito di fare una prima ricognizione delle necessità. "Non occorre parlare con tutti i profughi uno per uno. I luoghi di accoglienza sono tutti uguali. Dopo averne visto qualcuno, vanno avviate le operazioni. Non si pu? attendere di visitare tutte le cinquantacinque scuole, le due chiese e tutti gli altri punti di accoglienza".In Siria sono arrivati tra i 150 e i 180mila libanesi in queste tre settimane, stima la Mezzaluna. Molti sono ospitati da familiari o hanno risorse sufficienti per stare in hotel. Quelli che invece hanno necessità di un riparo, sono portati in una delle strutture di accoglienza. Là ricevono assistenza medica, cibo e beni di prima necessità. "Qui a Damasco", spiega Erksoussi, "siamo già alla fase due: stiamo spostando le persone verso alcuni campi fuori città". Si tratta di campi che normalmente ospitano attività estive collegate all'università, e quindi sono disponibili fino alla prossima estate. "Ma non prevediamo un lasso di tempo cos? lungo: i profughi vogliono tornare a casa e appena scatterà il cessate il fuoco torneranno", afferma sicuro Erksoussi. Per ora la Mezzaluna rossa regge, ma il costo di questa operazione è molto elevato. Solo per il cibo si spendono sei dollari a testa al giorno. Il che significa quasi un milione di dollari per ogni giorno che passa. Il sistema funziona perché si appoggia alle comunità locali. Tutti nell'organizzazione sono volontari, a partire dagli organi direttivi. Anche Erksoussi è un volontario, anche se coordina i 250 appartenenti di Damasco all'organizzazione. Molti hanno lasciato il lavoro per dedicarsi all'emergenza ventiquattro ore su ventiquattro. E' il caso di Samer Akhras, che faceva il cameriere: "Trover? un altro lavoro quando questo momento di emergenza finirà". La cosa più difficile, spiega, "è nascondere i tuoi sentimenti quando ti trovi davanti una donna che piange perché ha appena saputo al telefono che il fratello è morto". Fa avanti e indietro dal confine. Ma non si sente solo. Sono tanti, dice, quelli che in questi giorni hanno fatto capolino all'ingresso della sede per offrire la propria disponibilità a dare una mano.

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